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In conclusione, per garantire anche al paziente “incapace” qualità di cure e dignità di vita fino alla fine si debbono, innanzitutto, fare tutti gli sforzi per creare condizioni in cui si possa manifestare al massimo la sua autonomia, per rischiare il meno possibile di esporlo alla proiezione dei desideri e dei valori propri del medico e del tutore. Ciascuno  ha  diritto di essere riconosciuto come persona, di essere compreso e trattato cioè nella sua individualità e dev’essere in qualche modo protagonista nel processo terapeutico.

Cosa si può fare?

In primo luogo, anche se incapace di comprendere i contenuti di un modulo di consenso informato, la persona con limitate capacità cognitive, può comunque a volte essere in grado di esprimere delle scelte e delle preferenze coerenti con i suoi valori di riferimento[13]. Per comprenderne i bisogni terapeutici e relazionali (espressi anche attraverso gesti, postura, mimica, volume e tono della voce, disturbi del comportamento…), però, si richiede la capacità di adeguare la comunicazione al suo livello funzionale. E per questo serve una formazione specifica degli operatori sanitari e di chi esercita professioni di aiuto, ma anche dei “tutori”.

Inoltre, nelle malattie croniche o degenerative che comportano progressiva perdita di capacità decisionali il medico deve saper aiutare con prudenza il paziente a prepararsi al futuro, pur senza perdere le speranze e discutere con lui le preferenze sugli obiettivi di cura, prognosi, opzioni di trattamento, valutando anche la necessità di amministrazione di sostegno.

Il rapporto medico-paziente-tutore, poi, è sempre una sfida anche di umanità e di qualità di ascolto reciproco. Serve una comunicazione aperta, fiduciosa e continuativa, in cui medico e “tutore” possano reciprocamente esprimere e condividere conoscenze e incertezze, desideri e timori, per evitare eccessi di trattamento e abbandono diagnostico o terapeutico, ma anche false convinzioni  o equivoci sugli scopi del trattamento o non trattamento…  

E’ importante condividere in equipe i punti salienti dei processi decisionali più delicati e coinvolgere il più possibile anche gli altri familiari e persone vicine al paziente.  La condivisione e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti sono necessarie per cercare il bene dell’”incapace” e prevenire sensi di colpa, incomprensioni e conflitti che possono coinvolgere sia i familiari che i membri dell’equipe assistenziale.

Nell’attuale organizzazione sanitaria complessa, non sono sufficienti, però, qualità umane, motivazione e un’adeguata formazione (scientifica, tecnica, ed etica) a livello dei singoli operatori sanitari, servono anche azioni organizzative e sostegni formativi a livello di struttura e rivolte anche alle persone che si occupano di tutele, curatela e amministrazione di sostegno.

Health Dialogue Culture

Vuole contribuire all'elaborazione di una antropologia medica che si ispira ai principi contenuti nella spiritualità dell'unità, che anima il Movimento dei Focolari e alle esperienze realizzate in vari Paesi in questo campo.


 

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