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Ho avuto in dono dalla vita un carattere pieno di difetti, ma positivo e fantasioso. Dopo un lungo periodo tutto sommato tranquillo mi ritrovo, ben superati gli ottant’anni, indebolita nella salute e con qualche difficoltà a capire cosa posso o non posso affrontare, in base alle mie forze fisiche, lungo il percorso di vita che ancora mi resta da fare.

Vengo a conoscenza che c’è una mamma con due bambini in arrivo dall’Ucraina, sono parenti di amiche ucraine. Le forze non sono molte, ma sento con chiarezza che questo può essere il mio contributo per la pace. Azzardo a propormi per accogliere queste persone, specificando che non sono in grado di svolgere le necessarie pratiche burocratiche per difficoltà oggettive.

Natale è alle porte; arrivano…, le accolgo…, nessuno sa una parola in una lingua che l’altro comprenda. Per fortuna gli sguardi e il cuore creano subito una corrente che può supportare i gesti concreti quotidiani. E poi c’è il traduttore dello smartphone che, pur traducendo “fischi” per “fiaschi” per la mia poca destrezza, ci aiuta. Con i piccoli imparo a dire “dobre”, bene, bene…, poi i giochi, gli occhi, il cuore fanno il resto.

E le pratiche burocratiche? Attorno a me tanti si prodigano per aiutarmi. L’edicolante di fiducia mi procura i moduli da inoltrare sul sito della questura per chiedere ospitalità. Mi procuro una lente d’ingrandimento e una luce forte e li compilo. La mia padrona di casa mi aiuta per l’iter di iscrizione dei bimbi a scuola. Accetto di trovarmi ad essere rifugiata tra i rifugiati, paziente, in coda presso la questura o in altri luoghi. Manca sempre una carta, una fotocopia… Il Signore si palesa in un poliziotto che, vista la mia imbranataggine, fa una telefonata. Si mette in moto una serie di circostanze favorevoli tanto che dopo un’ora usciamo con il permesso di soggiorno in mano. La mamma non sa come esprimere la sua riconoscenza.

La convivenza si rivela semplice; con la mamma ci siamo accordate di mettere sempre in primo piano il rapporto tra di noi senza cedere alle incomprensioni che avrebbero potuto verificarsi, data la difficoltà della lingua, e di creare un ambiente sereno dove i piccoli potessero disintossicarsi da quanto avevano subito. È stato emozionante per entrambe quando li abbiamo sentiti ridere per la prima volta, liberi di correre e di giocare. Intanto una bambina è venuta a giocare con loro; nel salutarsi i baci e gli abbracci non finivano più. Una sera la mamma mi confida: «Sai, non potevo sopportare non solo il freddo e la paura, ma di crescere i miei figli in un clima di odio…».

A metà gennaio, inseriti i bambini a scuola, la mamma esprime il desiderio di poter lavorare. Ma dove, non conoscendo la lingua? Confidiamo oltre ogni speranza. In una bacheca leggo un cartello, “Cercasi personale”. Entro, chiedo della titolare ed espongo brevemente la situazione, soprattutto sottolineo la non conoscenza dell’italiano. «Per pulire non serve parlare» e mi risponde che è disposta a provare. La giovane mamma si presenta il giorno all’ora stabilita; il lavoro è faticoso ma l’ambiente è umano e accogliente.

Ora che la madre lavora, la bimba che frequenta le scuole elementari ha bisogno di un supporto, mensa e doposcuola. Le liste del comune sono chiuse, rimane il doposcuola privato, a pagamento. Vado a chiedere: la prima risposta non è incoraggiante, le sezioni sono piene. Ma…“bussate e vi sarà aperto” e… arriva un’apertura e posso presentare la situazione, scoprendo un ambiente umanamente ricco e disponibile; mi viene accordata anche una riduzione della retta.

Coinvolgiamo le persone che passano per casa, proponendo di autotassarci con 10 euro al mese: serviranno a sostenere tutte le spese fintanto che la mamma non riuscirà a camminare con le sue gambe. Anche un piccolo gruppo di anziane con cui condivido il pranzo della domenica aderisce con entusiasmo. La Provvidenza non manca! Ci stiamo assestando, ma occorre allargare il cuore: è in arrivo nella casa accanto la nonna che ha perso il lavoro e qui si presterà come badante. Con la mamma ci accordiamo di accoglierla con cuore aperto per farla sentire a casa, viene anche lei da una grande sofferenza.

La giovane mamma mi confida: «Non mi sarei mai aspettata ciò che mi sta succedendo…, in un Paese straniero… Ho viaggiato tanto e non sapevo cosa mi avrebbe aspettato. Ma Dio è vicino e mi ha fatto il dono di incontrarvi. Sappi che non dimenticherò quanto bene ho ricevuto!». Mi vorrebbe ringraziare, ma le rispondo che il suo grazie potrebbe essere un nuovo gesto di gentilezza e di amore che lei potrà riservare a chi ne avrà bisogno. Così il cerchio si allarga.

Ora le giornate scorrono in semplice quotidianità: i bambini si inseriscono sempre più a scuola, a volte ospitiamo qualche bambino affinché giochino insieme; in qualche occasione andiamo insieme a far festa ad un nonno che è contento di avere nuovi nipotini, una famiglia ci accoglie per passare insieme qualche ora… E così ci si esercita a creare nuovi modi di relazionarci, al di là della lingua, usando il cuore, che batte in tutti allo stesso modo.


FONTE: CITTÀ NUOVA