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Congresso 2017

Il ruolo della spiritualità per il paziente e l'équipe di cura

Il ruolo della spiritualità per il paziente e l'équipe di cura  Flavia Caretta [1]     In tutte le tradizioni, la medicina era vista come un dono della Divinità: lo attesta già il giuramento di Ippocrate. La medicina fa appello ad una trasformazione profonda della persona malata, a una vera e propria conversione: la guarigione del corpo, quando avviene, è in pratica la conseguenza di una guarigione dell’anima ottenuta attraverso una purificazione, una catarsi, più o meno lunga. In questo scenario terapeutico il ristabilirsi di un rapporto spirituale con il divino riporta alla norma, cioè alla salute [2]. Quindi salute e malattia erano sempre riferite ad una precisa visione dell'uomo: è evidente che la prospettiva della spiritualità era parte integrante della persona considerata nella sua totalità.  Nell’evoluzione avvenuta nel corso dei secoli, pur fra tendenze a volte contrastanti, è sempre stata presente questa visione: infatti, nella tradizione occidentale, medicina e religione sono sempre state connesse, anche se più o meno strettamente.  Nell'avviarsi del processo storico di secolarizzazione, il curante diventava sempre meno un esperto della salvezza dell’anima e sempre più un esperto della salute del corpo, dispensatore o mediatore di una salute ritenuta sempre meno dono di Dio e sempre più dono della  scienza.  Accanto a questa evoluzione meccanicistica della medicina non sono comunque mancate, in ogni epoca, voci autorevoli di dissenso. Ad esempio, sir William Osler e Richard Clarke Cabot, due famosi medici che contribuirono allo sviluppo della medicina scientifica tra il XVIII e il XIX secolo, sostennero fortemente l’importanza della soggettività del malato e della considerazione della spiritualità nell’ambito assistenziale.  Cabot osservava che non passa una settimana nella pratica clinica di un medico senza che sia consultato su uno o più problemi e religiosi, non per speculazione intellettuale, ma piuttosto come domande di una sofferenza umana[3]. Per Cabot quindi, la comprensione di problematiche religiose era importante per il medico, poiché la religione era importante per il paziente del medico.  E’ innegabile però che i rapidi progressi della medicina hanno finito per centrare l’attenzione sugli aspetti biofisici, arrivando al modello biomedico, che identifica la malattia rispetto a precisi parametri biologici, classificabili con segni e sintomi e analizzabili secondo i rigorosi canoni della Evidence Based Medicine (EBM). Un modello riduzionista, perché non vengono considerate le dimensioni psicologiche, sociali, spirituali, ritenute al di fuori del controllo biomedico.  Ma stanno emergendo anche altri approcci e modelli dell’agire clinico, come la Medicina Narrativa, la Patient-Centered Medicine ed altri ancora. Pur con varie differenziazioni, richiamano tutti alla necessità di coniugare la prospettiva del medico con quella del paziente, dei suoi valori, del suo vissuto, del suo gruppo familiare e sociale di riferimento. La narrazione della malattia non è solo la descrizione di un processo patologico, ma del vissuto di uno specifico essere umano in una particolare situazione [4].  Si constata inoltre un crescente interesse nei confronti della spiritualità, evidenziato dagli stessi medici e professionisti sanitari; interesse che presenta aspetti simili a quelli riscontrati nella società in generale.  In un articolo pubblicato su «Lancet» nel 1997, si affermava che la “spiritualità è il fattore dimenticato in medicina e, da più parti, si auspicava che venisse inserita nel curriculum degli studi delle scuole biomediche” [5].  Negli ultimi decenni si è cercato anche di dimostrare scientificamente l’influenza della spiritualità su varie patologie: già nel 1987 due review presentavano un ampio quadro d’insieme ricavato da duecento studi empirici pubblicati nella letteratura medica sugli effetti della spiritualità sulla salute [6],[7] e sulla morbidità e mortalità.  Una recente review sistematica basata su una ricerca quantitativa di pubblicazioni in riviste peer-reviewed tra gli anni 1872 e 2010, suddivide le ricerche in 4 ambiti principali per riuscire a presentare la quantità e la molteplicità dei dati riguardanti il rapporto tra spiritualità e medicina: salute fisica, salute mentale, stili di vita, implicazioni cliniche [8]. Si evidenziano inoltre alcuni contesti specifici nei quali queste dimensioni hanno avuto un impatto particolarmente significativo: le patologie gravi e la fase terminale [9]. Uno studio in ambito oncologico ad esempio sottolinea l’importanza di comprendere la cura spirituale all’interno dell’équipe multidisciplinare, con il risultato della riduzione del rischio di terapie aggressive, oltre al miglioramento della qualità di vita [10].  Altre evidenze riportate dagli studi sono le seguenti [11] :  - La spiritualità spesso dà un senso di benessere, migliora la qualità di vita, aumenta la sopravvivenza [12],[13] fornisce un supporto psicosociale[14],[15]. - Le convinzioni spirituali possono avere un’influenza anche sul processo decisionale[16] - I pazienti desiderano parlare con i loro medici dei bisogni spirituali e che sia compresa anche la spiritualità nei piani di cura[17],[18].. Una presentazione ampia ed esaustiva delle ricerche svolte in diversi contesti assistenziali sarà presentata dai relatori successivi.     Limiti degli studi  Non è facile definire la complessità e le diverse sfaccettature di concetti come religiosità e spiritualità, come non lo è arrivare a una definizione accettata da tutti i ricercatori. Questa mancanza di consenso rende difficile un confronto fra i risultati dei vari studi [19].  La religiosità e la spiritualità sono state considerate come una sola e medesima realtà fino a tempi recenti. Con l'avvento del ventesimo secolo vi è stata una graduale distinzione tra religiosità e spiritualità: si sostiene che la spiritualità comprende la religiosità, ma non coincide con questa, può non essere connessa con una particolare fede religiosa. La dimensione spirituale può essere delineata come i bisogni di significato, di scopo, di realizzazione che connotano la vita umana, le convinzioni, la fede.  Si può “misurare” il livello di religiosità e/o spiritualità? Con quali strumenti?  Gli stessi risultati in termini di parametri biologici, non potrebbero in realtà dipendere da altre variabili associate (cambiamenti degli stili di vita, dell’ambiente, ecc.)?  Per questi motivi, in genere si preferisce fare riferimento ai due termini considerati insieme: comunque numerosi sono gli studi che evidenziano correlazioni positive fra religiosità/spiritualità e salute.     Le implicazioni assistenziali  Pur concordando pienamente sul fatto che la cura spirituale deve fare parte del processo assistenziale, ci si potrebbe domandare: chi dovrebbe praticarla e come si dovrebbe attuare?  Va considerato che una criticità presente in genere in tutti gli ambienti assistenziali è costituita dalla scarsità del tempo da dedicare ad ogni paziente. Come tradurre allora nel quotidiano assistenziale quanto si è esposto finora?  Molti operatori sanitari con una forte esigenza spirituale cercano di “tradurre” questo aspetto della loro vita personale nel lavoro professionale: forse alcune “strategie” già sperimentate possono essere di aiuto. Mi riferisco alla spiritualità di Chiara Lubich che ha come scopo la fraternità universale e che richiede a ciascuno di contribuire a realizzarla nel rapporto con quanti incontriamo.  1) La personalizzazione dell’assistenza Personalizzare l’assistenza richiede di considerare unico ogni paziente e dargliene la sensazione. Un modo sta nel considerare la persona che si ha di fronte come fosse la sola che si incontrerà nella giornata, senza pensare al paziente precedente o a quello che sta aspettando. Riuscire a vivere il momento presente libera dalla fretta e da condizionamenti che potrebbero offuscare la decisione da prendere.  Un passo ulteriore è quello di considerare il paziente come se stessi: un riferimento significativo per i cristiani è l’”ama il prossimo come te stesso”, ma lo stesso imperativo è richiesto in altre tradizioni [20]. Ad esempio Gandhi affermava: Ogni professionista sanitario può e deve porre attenzione alla cura spirituale: la si può attuare se, oltre alla necessaria competenza scientifica, si tiene presente il senso profondo della professione, il significato della malattia per il paziente e la sua famiglia. Se è importante inserire la spiritualità nella formazione dei professionisti sanitari, il passo successivo è cercare di viverla, cioè di «tradurre» la spiritualità in gesti concreti nel quotidiano assistenziale.

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