Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti, per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del sito. Chiudendo questo banner, o continuando la navigazione, accetti le nostre modalità per l’uso dei cookie. Nella pagina dell’informativa estesa sono indicate le modalità per negare l’installazione di qualunque cookie.

ReciprocitàAbbiamo riflettuto sull’importanza della comunicazione e dell’arte del relazionarsi in medicina. Il mio compito è ora quello di parlare del significato e del valore della reciprocità.È infatti nostra convinzione che sapere comunicare ed entrare in relazione con l’altro, sia esso collega, operatore sanitario, paziente o famigliare, richiede un passo ulteriore: arrivare alla reciprocità dei rapporti. Come è noto, il termine «reciprocità» assume un significato specifico a seconda dell’ambito in cui viene applicato. Si parla, infatti, di reciprocità in campo economico, politico, sociale, assistenziale…

Ci domandiamo allora: quale significato la reciprocità assume in ambito medico? E soprattutto: quale valore aggiunto apporta rispetto al comunicare e all’essere in relazione?

Sappiamo che un rapporto vero e profondo di reciprocità implica la disponibilità dell’altro all’incontro e quindi la sua risposta: un “io” e un “tu” dialoganti tra loro che arrivano all’unisono nel pensiero e nell’agire.

Si tratta non solo di ascoltare, ma comprendere, “prendere dentro”, cioè di far proprio il pensiero, il sentire, il vissuto dell’altro. In una parola diremmo «farsi uno», cioè far posto all’altro, entrare, per così dire, nell’altro fino a suscitare la risposta da parte sua e giungere così alla reciprocità.

Sì, «farsi uno»: sono solo due parole, eppure racchiudono in sé una potente carica rivoluzionaria, capace di cambiare radicalmente il nostro modo di comportarci, di relazionarci l’uno con l’altro.

Esse domandano, infatti, di fare in sé spazio all’altro, di spostare il proprio io, di annullarsi, in certo modo. Eppure, è proprio mettendo in atto una tale dinamica che ciascuno si ritrova arricchito dall’altro e perciò più realizzato nella sua stessa dimensione personale.

È questo l’apporto sostanziale che la reciprocità produce.

 

Siamo immersi, purtroppo, oggi, in una società individualista, materialista e consumista, per cui le relazioni interpersonali conoscono un progressivo impoverimento e la parola reciprocità va perdendo il suo vero, profondo significato, intesa come una sorta di contrattazione: si dà per ricevere un contraccambio.

In realtà non dovrebbe essere così.

La persona umana è infatti essenzialmente segnata dalla reciprocità, cioè dal suo “essere per e con” l’altro. Perciò la creazione di autentici rapporti interpersonali è insita nella natura stessa dell’uomo e risponde alle sue esigenze.

 

Certo, arrivare alla reciprocità non è facile, non è gratuito: piuttosto è frutto di un processo di educazione, radicato e compiuto in una scelta libera e rinnovata di accettare, rispettare e valorizzare l’altro nella sua piena dignità, riconoscendolo come fratello.

È, dunque, un’arte basata sul mutuo rispetto. E, come ogni arte, richiede allenamento, un processo di autoeducazione. Soprattutto nel nostro campo, esige umiltà intellettuale e desiderio di arricchire la propria visione e comprensione dei fatti, anche sapendo perdere le proprie opinioni nell’interscambio con l’altro che mi è imprescindibile, dal momento che io non possiedo tutti gli elementi e le prospettive che esauriscono la realtà su cui ci si confronta.

Dal rispetto e dalla stima vicendevole potrà svilupparsi allora un dialogo vero e fecondo, presupposto di un’autentica esperienza di reciprocità.

 

Per arrivare, dunque, a questo rapporto di reciprocità bisogna guardare all’altro come a se stesso. Non basta, infatti, conoscere l’altro, interiorizzare il fatto che esiste, che possiede un certo valore, ma occorre annullare la distanza tra me e lui per poterlo accettare nella sua umanità, senza preconcetti o giudizi, senza barriere; volere il bene, il meglio per l’altro, e, permettetemi di dirlo, in una parola, amarlo.

È un amore, però, non fatto semplicemente di sentimento ma di volontà: amare significa, come abbiamo detto, farsi uno con il “tu” che mi sta di fronte, immedesimarmi nel suo pensiero, nella sua realtà, senza aver paura di perdere qualcosa di me.

Un amore – ripeto – che sa fare spazio all’altro, e ciò significa saper ascoltare, saper comprendere il punto di vista dell’altro e, a nostra volta, saper offrire il proprio pensiero, le proprie idee, nel rispetto, stima e riconoscimento l’uno dell’altro; un amore che ci fa essere pronti, disposti, anche all’accettazione del rischio di non essere corrisposti.

 

Concludo con qualche breve cenno sulle implicazioni che la reciprocità offre all’universo variegato della medicina, come del resto si può già intuire da quanto è stato detto.

 

La relazione clinica potrebbe rinnovarsi, il consenso informato sarebbe più responsabile e condiviso; l’interdisciplinarietà potrebbe divenire ancora di più un obiettivo utile e costruttivo a giovamento di tutti, sia dei pazienti che dei medici.

La reciprocità, inoltre, potrebbe diventare il momento ideale per discutere e promuovere i fini della medicina, tanto più necessari nella nostra epoca in cui una rivoluzione biotecnologica così vorticosa, senza precedenti e senza precisi riferimenti etici, mette in gioco i valori e gli scopi della vita stessa.

La reciprocità offre, poi, nella pratica clinica un aiuto per un agire concreto e responsabile, aperto ad una comprensione più profonda dei limiti della medicina.

La dinamica dell’interscambio di idee aumenta, tra l’altro, il sapere di ognuno e aiuta ad essere attenti agli interessi di tutti, confrontandosi sia nei casi clinici che nella ricerca scientifica con tutte le sue problematiche nel campo della bioetica e delle bioteconologie.

Ancora, un tale approccio di reciprocità ha un grande valore nel rapporto medico-paziente, dove gli aspetti relazionali hanno un’importanza rilevante.

L’atto medico, infatti, in questa maniera non sarebbe solo azione, ma prima di tutto comunicazione, rapporto che si fa reciproco. Tra il medico e il paziente, che si sente così valorizzato, riconosciuto e trattato come persona, vista nella sua integrità e totalità e a cui si deve rispetto, si stabilirà, infatti, non un rapporto attivo-passivo, ma un rapporto di partecipazione, di reciprocità, con tutti i vantaggi che esso comporta.

 

Ecco solo alcuni flash che ci fanno intravedere quale vantaggio potrebbe venire al mondo della medicina e all’umanità tutta se il paradigma del relazionarsi fosse sempre la reciprocità.

È un’utopia? Non so. Difficile, sì, ma non impossibile.

 

di ANNA FRATTA

 

Health Dialogue Culture

Vuole contribuire all'elaborazione di una antropologia medica che si ispira ai principi contenuti nella spiritualità dell'unità, che anima il Movimento dei Focolari e alle esperienze realizzate in vari Paesi in questo campo.


 

Facebook I Segue

Eventi

Twitter | Segue

Documenti più scaricati