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Questo modello di apprendimento dovrebbe essere preso in considerazione anche dai docenti per operare nel modo più coerente possibile in ogni momento del proprio agire. Ma qui si pone anche un doppio problema per chi apprende: la nostra visione del docente e la valutazione del suo operato per quanto riguarda gli aspetti etici. Il docente (inteso come riferimento specie durante le attività pratiche di tirocinio, quindi non solo il docente titolare ma anche il tutor in senso più lato) è una figura importante per la costruzione delle informazioni dei curriculum informale e nascosto. In questo senso deve possedere una serie di attitudini: la disponibilità ad insegnare – spesso sembra che il tirocinante sia un peso e qualcuno pronto a rubare i “trucchi del mestiere”; la coerenza tra le sue azioni e i suoi insegnamenti. Insomma, la figura del “mentore”, di chi insegna il mestiere, è sicuramente preferibile e ricercata più o meno coscientemente dagli studenti. È, se vogliamo, un ritorno al passato, quando l’unico modo per imparare un mestiere era andare “a bottega” da un maestro. Ed era preferibile scegliersi il maestro: per la competenza nel proprio lavoro, l’abilità nel trasmettere il proprio sapere, la propria esperienza e la propria cultura in senso più lato. Insomma la figura del mentore. Ad oggi, in molti lavori in letteratura, si parla ancora di mentoring o mentorship, con risultati molto interessanti: dove questa figura viene istituzionalizzata nella veste del tutor – che può essere un docente, un tirocinante più esperto – abbiamo sia un miglioramento del livello medio degli studenti, sia un miglior “outcome” dal punto di vista dei risultati della terapia e della soddisfazione dei pazienti, al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare – e come sostengono molti docenti – che l’attività didattica pratica tolga tempo e risorse al lavoro vero e proprio in reparto e in laboratorio, penalizzandone l’efficienza e la qualità finale. E questo modello è applicabile non solo con lo studente tirocinante in un laboratorio/reparto, ma anche con un nuovo operatore che si inserisce nell’ambiente di lavoro. Un tirocinante preparato infatti, non solo sbaglia meno, ma è di supporto maggiore in una qualunque realtà; insomma da ostacolo diventa risorsa. In questa ottica è fondamentale, anche, la motivazione del tirocinante, perché permette di avere un impegno superiore e di miglior qualità del suo operato. Sappiamo infatti dalla neurofisiologia, semplificando molto, che l’apprendimento di un dato può avvenire per tempi diversi – a breve, medio e lungo termine – e che distinguiamo una memoria concettuale e una operativa. Inoltre apprendiamo più rapidamente e ricordiamo più a lungo un concetto, un nome, se siamo interessati o appassionati all’argomento, perché cambia il pattern neuronale attivato. Quindi il nostro apporto attivo nell’apprendimento è fondamentale per la ritenzione e l’applicazione di nozioni e metodologie, oltre alla passione personale per la disciplina studiata. In questo senso molti autori parlano di “compliant learner”1, a sottolineare proprio l’apporto attivo e il ruolo fondamentale dello studente. Questa consapevolezza getta su di noi una responsabilità nuova nel nostro lavoro e studio: è importante chiedersi a quanto ammonta il nostro contributo nell’apprendimento. È però fondamentale anche l’apporto del docente in generale e del tutor nel saper coinvolgere e stimolare lo studente nel suo percorso. Se è vero che lo studente rende meglio con un docente bravo nel suo ruolo, è anche vero che il professore è gratificato e invogliato nel suo compito da studenti interessati e motivati. Insomma, come abbiamo già sentito, una buona relazione docente-studente è responsabilità di entrambi.

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