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Immagina di essere davanti al tuo computer, di fronte ad un muro di e-mail. Dopo aver formulato una risposta, premi «invia» e prendi il panino sulla tua scrivania. Dopo alcuni morsi, masticando mentre guardi lo schermo, metti giù l’involucro del panino, prendi una manciata di patatine e apri il messaggio successivo. Prima che te ne accorga, hai finito il pranzo. Questo non è uno scenario tanto inusuale, può capitare a tutti di ritrovarsi immersi nelle preoccupazioni della giornata e di non dare sufficientemente importanza al momento del pasto.

Tuttavia diversi studi hanno dimostrato che strategie alimentari più consapevoli possono aiutare ad avere un miglior rapporto con il cibo e aiutare le persone a perdere peso. Dunque un modo di mangiare più lento e ponderato può essere di grande aiuto.

 

Ma di cosa si tratta precisamente?
Questo approccio alternativo è stato soprannominato «mangiare consapevolmente» e si basa sul concetto buddista di consapevolezza, che implica l’essere pienamente consapevoli di ciò che sta accadendo dentro e intorno a noi nel momento presente. Applicata al mangiare, questo approccio non prescrive cosa mangiare e cosa non mangiare, bensì insegna come mangiare. Infatti può essere considerata un’esperienza che coinvolge completamente il nostro corpo, il nostro cuore e la nostra mente nella scelta, nella preparazione e nella consumazione del cibo quotidiano. Attraverso il mangiare consapevole utilizziamo i nostri sensi immergendoci nei colori, nella consistenza, nei profumi, nei sapori e anche nei suoni di ciò che beviamo e mangiamo, mastichiamo lentamente, ci sbarazziamo di distrazioni come la TV o la lettura e impariamo ad affrontare il senso di colpa e l’ansia per il cibo. In questo modo esploriamo con curiosità le nostre reazioni al cibo e i nostri segnali interni di fame e di sazietà. È una modalità che quindi ci aiuta ad aumentare la godibilità del cibo, poiché ogni morso diventa un’esperienza unica che amplifica l’esperienza del momento presente.

Le diete, invece, intese in senso restrittivo e non come «stile di vita», non solo tendono a disconnetterci dal nostro corpo, ma si oppongono anche al principio di piacere associato al cibo e quindi rimuovono il senso di soddisfazione: non si mangia più perché «è buono», ma si mangia perché «devi». L’idea di controllo, limitazione, sacrificio interferiscono pesantemente con la sensazione fondamentale su cui si basa il nostro rapporto con il cibo: il piacere. Con il mangiare in consapevolezza, al contrario, si enfatizza la soddisfazione del cibo non nella quantità, ma nella qualità: grazie a esercizi guidati, si scopre di essere in grado di trarre piacere da piccole quantità di cibo. In più, la soddisfazione legata al cibo non verrà poi seguita da sensi di colpa, poiché si coltiva l’astensione da posizioni giudicanti e rigide rispetto a sensazioni, pensieri, emozioni e comportamenti che riguardano il nostro modo di alimentarci. Questo aspetto è estremamente importante per imparare ad abbracciare un atteggiamento di amorevole gentilezza in opposizione a quegli atteggiamenti colpevolizzanti che spesso esistono nei confronti del cibo.

Se questo modo di mangiare è così benefico per la nostra persona, perché non ci viene spontaneo metterlo in pratica?
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, siamo enormemente influenzati dalle informazioni che provengono dai mass media e dalla società, che vogliono che ci nutriamo in un certo modo, imponendoci scelte legate al marketing e non alla nostra salute. Abbiamo quindi imparato a nutrirci in modo disfunzionale, a causa dei condizionamenti ricevuti dalla società, con cibi che danneggiano il nostro corpo. Utilizzare il cibo in modo disfunzionale in alcuni casi vuol dire anche usarlo in modo consolatorio, per modulare emozioni negative (tristezza, rabbia, ansia, etc). Il cibo quindi perde la funzione di nutrimento e diventa sempre più un modo per gratificarci ed alleviare le nostre sofferenze. Tuttavia non si utilizza il cibo in questo modo perché si è deboli, e neanche perché si è persone deplorevoli. Forse nel passato si è imparato che con il cibo si poteva attenuare il dolore, e negli anni è diventato sempre più una fonte di conforto, da utilizzare nel momento del bisogno. Ma non per questo dobbiamo incolparci, è stato fatto il meglio che si poteva.

Per concludere, si può affermare che coltivare la consapevolezza quando si mangia, nei momenti facili e in quelli difficili, è possibile. Ciò accade perché la tendenza a vivere in modo inconsapevole subisce una virata verso nuove abitudini mentali: ciò non significa capovolgere la propria esistenza in maniera burrascosa, ma essere presenti alla vita con gentilezza, radicalmente mutati nel modo in cui si risponde all’esistenza, acquisendo maggiore stabilità, determinazione, capacità di comprendere, tollerare, reagire in modo propositivo e senza arrendersi passivamente al dominio dello stress.

 


FONTE: CITTÀ NUOVA

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